Archivi del giorno: 28 febbraio 2011

Adieu, Annie!

Aveva ormai smesso di lottare da tanto tempo, e la fine è arrivata inesorabile.

Si è spenta ieri a Parigi, all’età di 79 anni, Annie Girardot, vittima dell’Alzheimer, una delle più grandi e affermate attrici francesi di tutta la storia del cinema francese e non solo.

É stata a lungo il volto passionale di alcuni dei film più audaci degli anni 60, essendo, fra l’altro, una delle interpreti preferiti da quel diavolo surrealista di Marco Ferreri che ne fece La Donna Scimmia, scioccando le platee di mezzo mondo con quella parabola intrisa di amarezza e cinismo e dove la Girardot, truccata e piena di peli sino all’inverosimile, ha regalato forse la sua interpretazione più mirabile e sentita.

Sempre con Ferreri girò “Dillinger è Morto”, dove, nei panni della cameriera, incarnava una delle tante fantasie feticiste dell’alienato Michel Piccoli.

Ma la sua carriera è stata così densa di ruoli significativi che non è facile riunirli tutti insieme per un articolo, e così mi soffermerei sul sottolineare in particolare quello intenso della prostituta in “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti e quello morboso e crepuscolare della madre di Isabelle Huppert ne “La pianista” di Haneke, dove con insospettabile vitalità dà luogo all’ennesima interpretazione mirabile e disturbante al tempo stesso.

Con lei se ne va una delle ultime testimoni di un periodo in cui il cinema d’autore era affamato di sperimentazioni, ma al contempo anche molto seguito e amato dal pubblico, allora affamato di storie e riflessioni e non solo di effetti speciali e 3D.

Altri tempi, davvero.

Adieu, Annie!


Fair Play

Chissà cosa ne avrebbe detto lui, se fosse capitato ad altri o alla sua stessa squadra.

Increscioso episodio quello capitato ieri a Foggia, quando sul finire della partita fra Foggia e Gela, valida per la Prima Divisione della Lega Pro, si è scatenata una vera e propria rissa, con tanto di caccia all’uomo, sotto gli occhi pressocché inebetiti di arbitri, giornalisti e spettatori.

Il fattaccio avviene intorno al 39′ della ripresa, quando, col Foggia sotto 2-1, i rossoneri pugliesi allenati da Zeman, pervengono al pareggio usufruendo di una rimessa non restituita.

La palla, infatti, era stata messa fuori da un giocatore del Gela, per permettere i soccorsi all’infortunato Salamon del Foggia.

Al momento del pareggio si è scatenato uno spaventoso parapiglia, con i gelesi che chiedevano la restituzione del gol e i foggiani che si ritrovavano vittime di una caccia all’uomo, alla quale rispondevano colpo su colpo.

L’arbitro non ci ha capito granché, e, a fronte dei dieci calciatori coinvolti, ne ha espulsi soltanto due, e dopo una sospensione di quasi otto minuti, ha chiuso con tre minuti di anticipo la gara.

Ma come ha commentato il fattaccio Zdenek Zeman, il paladino degli sportivi, dei valori dello sport, colui il quale (secondo il suo stesso parere), paga e ha pagato sulla sua pelle, il fatto di credere fermamente in questi valori e di scagliarsi contro i potenti, il Palazzo, il potere occulto e così via dicendo?

«Non bisognerebbe gettare la palla fuori, quando c’è un avversario per terra. Si dovrebbe attendere il fischio dell’arbitro». Così dice il tecnico boemo, il quale si auspica pure «di mettere fine a continui bluff, perché se in una partita gli avversari cascano a terra venti o trenta volte,  o non sono normali o c’è qualcosa che non va».

Quindi aggiunge di non essere «felice per quanto successo ma al tempo stesso convinto che i suoi ragazzi hanno reagito come potevano all’atteggiamento esasperante degli avversari». Giustificando così il vile atto dei suoi calciatori.

«Alcuni giocatori del Gela hanno chiesto ai miei di fargli fare un altro gol, subito dopo il nostro pareggio. Io resto dell’idea che a vincere dev’essere chi merita ». Ovvero di chi segna sfruttando una rimessa non restituita, consegnata all’avversario che aveva messo palla fuori per consentire le cure a un giocatore dell’altrui squadra.

Avercene di sostenitori dello sport  e della lealtà come Zeman.


Il cigno d’oro

Non è mai stata un brutto anatraccolo Natalie Portman ed è dunque naturale che sia arrivata così presto a suggellare la sua bellezza di cigno incinta, trionfando con l’Oscar come miglior attrice protagonista, che arriva, meritato per la straordinaria interpretazione in Black Swan di Darren Aranofsky e che la lancia definitivamente nell’Olimpo delle Star.

Tutto questo quando la giovane attrice nata in Israele, non ha ancora compiuto trent’anni, ma ha alle spalle una carriera già lunga 17 anni, con l’esordio folgorante in Lèon di Luc Besson al fianco di Jean Renoir.

Già all’epoca, benché soltanto dodicenne, la Portman lasciava trasparire inesauribili gocce di talento, così dotata di un’espressività inusuale e completa per una ragazzina che non era nemmeno adolescente, alle prese perlopiù con un nome di spicco del cinema francese.

La sua carriera ha così presto spiccato il volo come la sua indubbia bellezza, che le conferisce quell’aura da cigno sbocciato che adesso trova il suo climax con la dolce attesa di un figlio.

L’interpretazione che le ha regalato il premio più ambito sancisce, ove ve ne fosse ancora bisogno, come meglio non avrebbe potuto fare, la straordinaria duplice natura del suo fascino e del suo talento, esaltando sino all’infinito sia i suoi lineamenti e la sua fisicità candida e delicata, sia il suo travolgente e luciferino sex-appeal.

Il suo corpo assorbe e registra i mutamenti imposti dal ruolo e lievita sino alla sua morte da Cigno Bianco, sfiancato dalla trasformazione in Cigno Nero.

Basta soffermarsi sull’espressione del suo viso nel corso di questa trasformazione per rimanerne letteralmente ora abbagliati, ora turbati e infine commossi.

I suoi silenzi e i suoi sguardi, valgono più di qualsiasi parola o gesto, e il suo Oscar è uno fra i più meritati degli ultimi anni, pari, forse, soltanto alla Hillary Swank di The Million Dollar Baby.

Insomma, per una volta, possiamo essere contenti del giudizio dell’Academy e non abbiamo nulla da ridire (ci mancherebbe) sul fatto che il premio dovuto alla Portman (come quello dato a Colin Firth) era più che annunciato.